Il titolo originale prende spunto da un proverbio che dice “Non è finita fino a quando la signora grassa non canta”, cioè non è possibile sapere come andrà a finire una certa situazione finché non si è conclusa, come racconta nella prefazione Bernardine Evaristo, che l’ha pubblicato nella sua collana “Black Britain”. Ed è proprio e per fortuna così, dobbiamo aprirci a diversi punti di vista. Al centro del romanzo due donne che si ritrovano compagne di stanza nel reparto psichiatrico di un ospedale londinese: la cinquantenne Gloria è vitale, esagerata, sarcastica e ci si chiede se era davvero necessario ricoverarla per la musica a tutto volume e il canto a squarciagola. Sembra addirittura che aumenti i segni di disagio mentale perché si trova in quel reparto: “Ecco un’altra delle cose che mi preoccupano dell’essere una paziente psichiatrica. Quando sto così mi sento me stessa più che mai… Forse è questa la cosa più spaventosa di essere matti. Che se non stai attento inizia a piacerti”. Merle, non ancora trentenne, arriva in seguito a un tentativo di suicidio e Gloria è l’unica che riesce a infrangere la sua corazza. Nel romanzo si alternano il presente o meglio il non tempo del ricovero e le storie delle due donne: “Tutto parla del domani. Ma la cosa buffa è che da quando mi hanno messa in ospedale il tempo per me si è fermato, mi hanno strizzata come una spugna e il futuro è gocciolato via. Ormai è tutto passato e presente, come se il futuro non esistesse”. Ma viene raccontato anche il variegato mondo che gira intorno alla malattia mentale. La scrittura della scrittrice inglese è efficace, diretta, ricca e immaginifica. Restituisce le esistenze delle due protagoniste compreso il momento di rottura che le porterà a perdere il controllo della loro esistenza. Un romanzo ricco e intenso che mostra come non ci sono confini netti tra sanità e malattia mentale, e che mette in luce le discriminazioni subite dalle protagoniste per il colore della pelle o le loro scelte di vita.

Simonetta Bitasi