D’annunzio questo sconosciuto

DECADENTISMO

Categoria letteraria con cui la critica indica l’atteggiamento del gusto che si diffuse sullo scorcio del 19° sec., interessando innanzitutto la produzione letteraria ma anche il costume e gli orientamenti morali dei ceti borghese e piccolo borghese. Mentre non è stato difficile trovare un accordo tra gli studiosi sulla definizione di un d. ‘storico’, ravvisabile soprattutto, per quanto riguarda l’Italia, nel vistoso fenomeno dannunziano e riconducibile quindi ai diffusi atteggiamenti estetizzanti della fine del 19° sec., assai dibattuto è stato il problema della definizione di un d. inteso in senso più ampio, quale fenomeno, cioè, della storia della cultura da collegare a una profonda crisi dei valori tradizionali. Per non citare che qualche nome, al d. apparterrebbero, oltre a P. Verlaine e ai poeti maledetti, G. D’Annunzio e T. Mann, S. Corazzini e M. Proust, e poi ancora I. Svevo, J. Joyce, L. Pirandello, R. Musil, G. Ungaretti, E. Montale, A. Moravia, tutte le avanguardie (futurismo, dadaismo, surrealismo, espressionismo).

ESTETISMO

Propriamente, atteggiamento del gusto e del pensiero che, in quanto pone i valori estetici al vertice della vita spirituale, considera la vita stessa come ricerca e culto del bello, come creazione artistica dell’individuo. Si tratta di un atteggiamento che sotto vari nomi ricorre nelle epoche più diverse, ma che come formulazione e applicazione coerente di una poetica rappresenta un tardo prodotto del Romanticismo, manifestatosi nella seconda metà dell’Ottocento, anzitutto in Inghilterra, con il ‘primitivismo’ di D.G. Rossetti, e più con J. Ruskin, W. Pater, O. Wilde; e poi negli altri paesi europei. Ne furono massimi esponenti, in Francia J.-K. Huysmans, creatore, nel romanzo À rebours, del personaggio di Jean des Esseintes, l’esteta per antonomasia; in Germania F. Nietzsche; in Italia G. D’Annunzio (il cui Andrea Sperelli del Piacere è un fratello di J. des Esseintes), A. Conti, A. De Bosis ecc.

In quanto tale, l’e. si riconnette con quel più vasto movimento della cultura e del gusto che va sotto il nome di decadentismo, e che, toccato il suo culmine verso la fine del 19° sec.,

NIETZCHE E DECADENTISMO

La lettura di Nietzsche permette al d’Annunzio in crisi di approdare ad un’altra fase della suo poetica, quella del superuomo dannunziano. Egli coglie alcuni aspetti del pensiero del filosofo tedesco: il rifiuto della borghesia e dei suoi principi; l’esaltazione dello spirito dionisiaco (energico vitalismo); il rifiuto dell’etica della pietà e dell’altruismo; l’esaltazione dell’affermazione di sé; il mito dell’oltreuomo. Questi valori sono deviati dal poeta in direzione decisamente antiborghese, aristocratica, reazionaria e imperialistica.

L’oltreuomo nietzschiano è interpretato da d’Annunzio come il diritto di pochi esseri eccezionali ad affermare se stessi, sottomettendo gli altri comuni esseri umani. Nasce così il mito del superuomo dannunziano. E’ questo un concetto che va in direzione opposta, ma non contraddittoria, rispetto a quello che proponeva il mito dell’esteta. Mentre quest’ultimo si chiudeva nel suo mondo, dominato dall’arte, il superuomo, invece, si autoassegna il ruolo di guida della società.

Per il superuomo dannunziano si tratta quindi di una ricerca di nuovi valori fuori dalla morale comune, e non, come avviene in Nietzsche, per la fondazione di una nuova conoscenza. D’Annunzio punta insomma a generare stupore, appoggiandosi sul culto della forma e dell’estetica, tenendosi assai distante dalla dimensione introspettiva e dalla ricerca intellettuale dell’oltreuomo di Nietzsche.

LINGUAGGIO DI D’ANNUNZIO

In Alcyone, riconosciuto unanimemente come il vertice della poesia dannunziana, l’autore sembra voler sperimentare tutte le situazioni liriche immaginabili, ciò che ha un preciso corrispettivo a livello formale, a cominciare dalla metrica; in quest’ambito si registra infatti una varietà di soluzioni veramente straordinaria: D’Annunzio «rompe gli schemi strofici, li dilata e li restringe, riducendo a volte il verso a una parola singola» (Beccaria 1993: 711). Altrettanto ricco è il repertorio lessicale utilizzato, che contempla frequenti arcaismi anche molto rari, in più di un caso recuperati dall’autore per mezzo dei dizionari (come alcuni nomi di piante: crambe, pancrazio, terebinto, ecc.). Nell’opera hanno largo spazio le evocazioni fonosimboliche; per es., nei primi versi della celebre lirica La sera fiesolana l’allitterazione di f ha l’evidente funzione di produrre una sensazione acustica analoga a quella del «fruscìo che fan le foglie».

STILE E RETORICA

Per D’Annunzio il verso è tutto, è la sua regola d’arte e di vita. La sua grandezza artistica si concentra infatti nella sua

lingua poetica: la forza innovatrice dei ritmi e della metrica, la raffinata perizia stilistica, sconfinata ampiezza del

lessico, musicalità del verso e ricchezza illimitata delle immagini.

Anche quando suona falso e vuoto, il linguaggio d’annunziano non cessa di stupire per la straordinaria abbondanza di

risorse formali a cui fa ricorso.

Il lessico è ricco e di una grande varietà espressiva grazie all’adozione di termini preziosi, letterari e arcaici, alle parole

dialettali e alla terminologia tecnica.

Anche in prosa si distingue l’uso di figure del linguaggio poetico, come anafore, metafore e allitterazioni, la ricerca di

ritmi musicali e l’impiego frequente della paratassi, attraverso enumerazioni e ripetizioni. A tutto questo si aggiunge

l’enfasi oratoria.

Nella produzione in versi spicca la ricerca della musicalità del verso e la serie di sperimentazioni metriche. Per ottenere

la musicalità utilizza i soliti espedienti retorici (anafore, similitudini, ripetizioni, accumuli e enjambements) e alla scarsa

o nulla punteggiatura e dalla scissione delle parole in puri suoni. I versi d’annunziani ricercano complete sinestesie di

immagini, colori e ritmi per arrivare alla poesia pura, che risponde a uno dei principi fondamentali del panismo:

l’essenza musicale dell’armonia che lega tutti gli esseri della natura in un unico e immenso corpo vivente.

D’annunzio è il primo in Italia fare uso del verso libero