Non a caso è una donna, Mary, che incontriamo a undici anni mentre ascolta in piazza a Bournville, un sobborgo di Birmingham, il discorso alla radio di Winston Churchill che annuncia la fine della guerra, il filo conduttore del nuovo romanzo di Jonathan Coe. La cornice della storia prende il via all’inizio di quella che può essere ormai chiamata “l’era covid” quando troviamo Mary ormai anziana ma sempre autonoma alle prese con le domande del figlio musicista Peter, ossessionato dalla storia della sua famiglia: “Aveva cercato negli archivi online e setacciato le carte a casa di sua madre ogni volta che le faceva visita, ma la risorsa a cui avrebbe voluto attingere era la sua memoria, e questo si stava rivelando un lavoro difficile. Non perché la memoria si stesse affievolendo, ma perché il passato era un argomento che sembrava non avere alcun interesse per lei. Le poche briciole di informazione che riusciva a estrarle gli venivano offerte a malincuore eppure era l’ultima sopravvissuta della sua generazione, l’unica in grado di ricordare storie di famiglia risalenti agli Anni Quaranta e Cinquanta”. Il romanzo prende quindi il via nel 1945 nella piccola cittadina dove si produce il tradizionale cioccolato Cadbury. Il “Quatuor pour la fine du Temps” di Olivier Messiaen è la colonna sonora del libro perché è della fine di un mondo o di più mondi che ci racconta: la fine della guerra e l’inizio del lungo regno della regina Elisabetta II, il matrimonio di Carlo e la morte di Diana, L’Unione Europea e la brexit. Ci sono personaggi come il marito di Mary che non si rassegnano a nuove modalità di vita e i giovani che cercano altri futuri possibili. Come sempre lo scrittore inglese ci regale una grande opera narrativa che è anche un affresco politico e sociale del suo paese e della nostra storia più recente. Un romanzo anche femminista che con partecipazione e ironia ci invita a guardare avanti grazie allo sguardo dei giovani e delle donne.

Simonetta Bitasi