Grazie alle edizioni Voland arriva in Italia la voce di Nana Ekvtimishvili, conosciuta a livello internazionale per la sua attività di regista per cui è stata anche candidata agli Oscar. IL CAMPO DELLE PERE, tradotto da Ruska Jorjoliani, è il suo primo romanzo ed è entrato nella long list del Booker Prize 2021. Il libro prende il via con una notazione geografica che è anche storica e politica. Entriamo da subito infatti nella scuola-Convitto di sostegno per bambini con disabilità mentali che si trova nella periferia di Tblisi in una delle poche vie con un nome: “Chissà, a quei tempi, nel 1974, quale mente ha partorito l’idea di dare a una via della Georgia sovietica il nome di una città che si trova nella penisola dell’Ucraina, in Crimea; una città in cui, un bel giorno di ottobre del 1942, mentre una brezza increspava la superficie di un mare tenuto al caldo per tutta l’estate l’armata nazista aveva imprigionato e trucidato 160.000 persone”. La vicenda si svolge all’interno del Convitto, abitato in realtà non solo da bambine e bambini con difficoltà di apprendimento ma da piccoli rimasti orfani o abbandonati dai genitori. Come Lela: “Ora è come se tutto fosse immerso nel silenzio. Non ci sono più i nuovi iscritti, e della vecchia guardia è rimasta soltanto Lela. In questo momento si può dire che lei sia la più forte in tutta la scuola. Nessuno la può sopraffare, nessuno può avere la meglio su di lei. Ai tempi, quand’era piccola e si raccoglieva sotto le ali dei grandi, non poteva neanche immaginare che sarebbe giunto il giorno in cui non avrebbe più avuto paura di nessuno, nel Convitto”. Il punto di vista di Lela ci immerge in un romanzo desolante e insieme incredibilmente poetico. Da una parte soprusi, maltrattamenti, violenze, abbandoni nella “scuola dei ritardati”, dall’altra parte non mancano gesti di amore e solidarietà tra i piccoli ospiti ma anche dalle persone che abitano intorno al Convitto. E bastano dei visitatori esterni per avere una prova vivente che oltre la Georgia là fuori esiste un altro mondo e quindi un’altra possibilità di vita ma che si può scegliere anche di rimanere.

Simonetta Bitasi