“Le storie sono terra fertile e, come diceva tuo nonno, piene di contraddizioni per tenerci in equilibrio. Credi sia di poca importanza essere portatori di una ricchezza plurale? Gioele, quando ti chiedi perché io ami così tanto questa casa, ricorda che questa è la terra che mi ha guardata la prima volta. Mi ha dato un nome e una lingua, legandomi ad ambedue con nodi forti. Se è vero che ogni lingua assomiglia ai suoi portatori, allora la terra dove attecchisce è la scacchiera delle parole, e ogni bocca affamata di quelle parole per interpretarla diventerà libera due volte, di esistere e di dissentire”. Alla fine del suo romanzo d’esordio, Valeria Tron, cantautrice, illustratrice e artigiana del legno, ringrazia chi avrà cura delle sue storie dando loro tempo, slancio e voce. Si accoglie volentieri questo invito e si sente anche una calda gratitudine per un racconto che certo richiede un tempo e un ritmo adeguato a un luogo quasi senza tempo ma alla fine ripaga pienamente chi legge. Perché la scrittrice ci restituisce o meglio ci porta a vivere in un mondo quasi fiabesco, un pugno di case in pietra tra le montagne della Val Germanasca, dove ormai è rimasta a vivere solo Nanà, una tenace novantenne. Che però non è sola, ha intorno i fantasmi della sua famiglia, degli abitanti delle altre case di cui è diventata l’attenta custode, le storie del passato e a un certo punto Adelaide, la madre di Gioele che torna alle sue origini. In un romanzo di oggetti e rituali (“Nell’alchimia del quotidiano si riconoscono i sentimenti”), dove si respira il passato dei biscotti conservati per gli ospiti, della stufa a legna, del lavoro a maglia, del bagno del sabato, dei ricordi e delle fotografie riposti nelle scatole di latta e insieme la curiosità e la preoccupazione per il futuro, anche la lingua partecipa a questa commistione di passato e presente. C’è un passaggio di testimone tra le due protagoniste ma anche tra chi scrive e chi legge. Si ride e ci si commuove, si pensa e si riflette su come “ognuno è un germoglio sparso da venti e possibilità”.

Simonetta Bitasi