“Chi rimane aspetta che l’amico ritorni, chi ritorna non ritrova mai quello che ricordava”. È una storia di partenze, ritorni, attese, immobilità e cambi di prospettiva quella che racconta Elvira Mujčić nel suo nuovo romanzo, LA BUONA CONDOTTA. Ritroviamo il suo talento narrativo, la scrittura ricca e precisa e un tono insieme ironico e malinconicamente lieve che non ci risparmia nulla sull’assurdità del comportamento umano. Siamo in un piccolo paese del Kosovo subito dopo l’indipendenza e alla vigilia delle elezioni del sindaco. Della popolazione possono votare 1362 albanesi e 1177 serbi. A sorpresa vince Miroslav, il medico del paese di origine serba ma che ha un programma di pacifica convivenza tra tutti i cittadini. È un uomo perbene, ma il governo serbo non è d’accordo e manda una specie di sindaco ombra che può dare il passaporto e i documenti serbi. Ci si mette poi di mezzo la devastazione del cimitero e subito viene incolpata la popolazione di origine albanese e il nuovo sindaco si trova subito in una situazione tragicomica. Del resto i conflitti li vive anche nella sua stessa famiglia, con la figlia sempre ostile nei confronti dei genitori, che hanno voluto tornare in patria dopo gli anni trascorsi in Germania a causa della guerra dei Balcani. Così anche Miroslav è uno che è tornato da fuori, come Zdravko il suo migliore amico che lavora nei villaggi turistici e Nebojsa, l’altro sindaco, che è addirittura stato in prigione. Con una storia ispirata a una vicenda vera Elvira Mujčić mette in scena l’eterna lotta tra il singolo e la comunità, tra la politica e la morale, tra la responsabilità personale e quella collettiva: “Se durante gli anni Settanta qualcuno gli avesse rivelato che nel giro di un paio di decenni il nazionalismo sarebbe diventato la religione dei suoi connazionali, avrebbe creduto quel tale un pazzo. Se avesse presagito che di lì a poco la Jugoslavia, con i suoi valori di fratellanza e unità, sarebbe implosa e svanita, che il mondo si sarebbe capovolto e quegli ideali elevati si sarebbero tramutati in un pericolo da combattere e possibilmente estirpare, avrebbe di certo fatto ricoverare quel veggente sciagurato”.

Simonetta Bitasi