“Le generazioni hanno bisogno di parlare. Di testimoniare. Di trasformare l’indicibile in racconto e riflessione. Di dare forma a ciò che è stato murato dal silenzio e che non cessa di ripetersi di generazione in generazione”. Il romanzo dello scrittore brasiliano riesce a raccontare tre generazioni di donne contemporaneamente. Le tre voci infatti si alternano di volta in volta in tutto il libro: prima il diario di Sara, nata nel 1926 a Lodz in Polonia e unica sopravvissuta ad Auschwitz della sua famiglia; poi Clara, sua figlia, nata nel 1949 in Brasile dove Sara ha cercato di fuggire all’orrore dell’Olocausto e infine Lola, nata nel 1984, la figlia di Clara, giovane ricercatrice universitaria che cerca di studiare e spezzare per sua figlia Luiza la terribile eredità della famiglia: “Noi, nipoti, figli e partecipi del terrore, diciamo solitamente che l’esperienza non è indicibile. È molto peggio: è invivibile. E l’invivibile viene trasmesso attraverso il corpo e il sangue”. È significativo anche il modo in cui ci arrivano le loro parole: quelle di Sara dalle pagine del diario che comincia a scrivere nel 1939; le considerazioni di Clara vengono affidate alle sedute di psicoanalisi e così compaiono anche gli interventi della terapista mentre la voce di Lola è quella più letteraria e sembra inglobare e rielaborare anche le altre due. È infatti la nipote che riesce a scardinare il silenzio sul trauma irreparabile che segna tutte loro: “Per Sara e per la sua generazione enfatizzare l’oblio è stata una forma di sopravvivenza. Ricordare significava aprire brecce in un dolore addormentato. Per Clara e per la sua generazione dimenticare-sublimare è stata una maniera di tornare a vivere. Ricordare divenne un riscatto dalla sofferenza di quel passato non vissuto. Per me… dimenticare-sovvertire è una decisione politica che porta alla ripetizione… Ricordare, educare, scrivere: tentativo (inutile) di capire”. Così la nostalgia diventa una ferita incurabile, il diario una sorta di testamento e la triade solo al femminile sembra destinata ad avere figure maschili solo di passaggio e alla fine inconsistenti.
Simonetta Bitasi