“Vivere in lutto è questo: non essere mai sola. Invisibile ma evidente in molti modi, la presenza dei morti ci accompagna nei minuscoli interstizi dei giorni. Da sopra la spalla, nel timbro della voce, nell’eco di ogni passo… Sono sempre lì e sono sempre qui, con e dentro di noi, e fuori ci avvolgono con il loro calore, ci proteggono dalle intemperie. Questo è il lavoro del lutto: riconoscere la loro presenza, dire sì alla loro presenza. Ci sono sempre altri occhi che vedono ciò che io vedo e immaginare quell’altra prospettiva, immaginare ciò che dei sensi non miei potrebbero apprezzare attraverso i miei sensi è, se ci pensiamo bene, una definizione puntuale dell’amore. Il lutto è la fine della solitudine”: il memoir della scrittrice messicana che dopo 30 anni ritorna all’assassinio della sorella ventenne ad opera dell’ex fidanzato rimasto impunito è un libro unico che contiene tanti libri. È un’opera letteraria che si nutre di sociologia e politica, di ricordi e moniti per il futuro, di voci e colpevoli silenzi. Viaggiamo al fianco di Cristina alla ricerca del fascicolo di indagine sul femminicidio della sorella e insieme la seguiamo nel passato, grazie all’archivio di parole e pensieri lasciato da Liliana e alle testimonianze di chi l’ha conosciuta e amata. Memoria e riflessione, dolore e denuncia, sensi di colpa, rabbia e amore si intrecciano per restituire l’essenza e l’esistenza di una giovane donna a cui un uomo che diceva di amarla ha impedito di continuare a vivere senza di lui. Il libro respira grazie alla presenza di Liliana e si alimenta di innumerevoli voci e punti vista, dei continui tra gli amici, le compagne e i compagni di università, gli scambi dialoghi tra le due sorelle e le lettere con i genitori. Siamo travolti da una cascata di parole, e anche questo è il senso del libro: non bisogna tacere, anche in nome delle troppe vittime di femminicidio: “Di fronte all’inimmaginabile non abbiamo saputo cosa fare. Di fronte all’inconcepibile, non abbiamo saputo cosa fare. E siamo rimasti muti. E ti abbiamo avvolta nel nostro silenzio, rassegnati di fronte all’impunità, di fronte alla corruzione, di fronte alla mancanza di giustizia”.

Simonetta Bitasi