Il minimarket della signora Yeom – Ho-yŏn Kim

Dokko, un senzatetto, coglie l’occasione di ricominciare la propria vita grazie alla sua gentilezza e bontà. Un’anziana signora di nome Yeom si accorge che alla stazione dei treni qualcuno le ha rubato la borsetta. Riceve una chiamata da una cabina telefonica e sente una voce strascicata che le dice di aver trovato la pochette con i suoi documenti. Lei raggiunge quest’uomo, e assiste a una rissa tra lui e altri senzatetto che cercano di rubare la borsetta, ma egli la difende per riconsegnarla alla signora. Sbalordita, vuole trovare una ricompensa adatta al suo gesto, così lo invita al minimarket Always che lei possiede per offrirgli un toshirak gourmet, il migliore pranzo pronto che ha in vendita, e gli promette che potrà averlo gratis tutti i giorni. Dokko, così il senzatetto dice di chiamarsi, torna quotidianamente al minimarket, nonostante la regola molto rigida per lui imposta dalla signora Yeom: sul tavolino esterno del minimarket non ha il permesso di consumare alcolici. Infatti, Dokko soffre di demenza alcolica, e alle domande che gli vengono poste sulla sua vita precedente lui non sa dare una risposta. Così, per sostituire il soju, un alcolico coreano, inizia a bere te di seta di mais.

Al minimarket gli affari non stanno andando bene, e il commesso del turno di notte si licenzia. Yeom, così, decide di offrire a Dokko il lavoro, anche se viene criticata molto dalle altre dipendenti. Dokko, però, riesce a dimostrare anche a loro la sua gentilezza aiutando la commessa più giovane a prendere coscienza delle sue capacità, grazie alle quali troverà un lavoro migliore, e la commessa più anziana difendendola da giovani ladruncoli e consigliandole un metodo per rapportarsi meglio con il figlio. Aiuterà anche i suoi clienti, grazie a lui un uomo smetterà di bere e una sceneggiatrice troverà in lui l’ispirazione. Inoltre, farà da intermediario tra il suo capo e suo figlio, che vuole che la madre spenda tutti i suoi soldi nel suo buisness di birre. Nel mentre, i suoi ricordi iniziano ad essere meno offuscati.

Nell’ultimo capitolo, in cui Dokko è la voce narrante, egli si ricorda di essere un medico e di avere una moglie e una figlia. Nella clinica in cui operava aveva tranquillizzato una cliente, ma l’intervento era stato affidato a una persona non competente, per cui la ragazza era morta. La notizia si era sparsa, ma egli continuava a negare alla sua famiglia di essere complice nell’omicidio. La moglie e la figlia, però, non gli credevano, quindi fu costretto ad andarsene via di casa con un profondo senso di colpa. Si stabilizzò alla stazione dei treni e incominciò a bere, prendendo il nome da un altro senzatetto che gli fu vicino, e provò a suicidarsi, ma non ci riuscì. Dopo l’esperienza con la signora Yeom, però, aveva ritrovato la forza per tornare a casa. 

Lo scopo di questo romanzo è smentire i pregiudizi sugli alcolisti e sulle persone senza dimora, ma in generale insegna che l’apparenza non corrisponde all’interiorità di un individuo. Ritengo che l’autore si sia dilungato un po’ troppo sulle situazioni famigliari complicate di ogni personaggio, però ho apprezzato la delicatezza che ha usato per raccontarle. Proprio questa delicatezza dello stile, tipica dei libri asiatici, si riflette nella grazia di Dokko, che si è rivelata fondamentale per la sua rinascita.