Alda Merini, Wislawa Szymborska, Saffo, Sylvia Plath… Quante poetesse ci hanno regalato poesie meravigliose? Celebriamo la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne con versi scritti da scrittrici ispirate, che hanno dedicato le loro liriche a tutte le donne del mondo.

Alda Merini

"Mangerete polvere,
cercherete d’impazzire
e non ci riuscirete,
avrete sempre il filo
della ragione che vi
taglierà in due.
Ma da queste profonde
ferite usciranno
farfalle libere"

La poesia è anche consolazione. Credere che dalle ferite profonde possano uscire farfalle è uno dei grandi insegnamenti che ci ha lasciato Alda Merini (Milano, 1931 – 2009). Nella sua abitazione sui Navigli, divenuta una Casa Museo, la poetessa accoglieva chiunque, regalava versi, scriveva numeri di telefono sui muri, con una generosità che hanno solo i grandi Artisti. Di lei si ricordano i frequenti ricoveri negli ospedali psichiatrici, ma il confine tra la “normalità” e la “follia” è labile, in particolare per chi scrive a questi livelli, e le ha ispirato molti versi.

Saffo

“Alcuni un esercito di cavalieri, altri di fanti,
altri di navi dicono esser la cosa più bella
sulla nera terra, io invece
quello che s’ama.
Assai facile è farlo capire a chiunque,
infatti colei che molto eccelleva
per bellezza fra gli uomini, Elena,
lasciato lo sposo di grande valore,
partì per Troia, in nave,
né ripensò alla figlia, né agli amati genitori,
per nulla, ma la traviò Afrodite,
lei, innamorata;
subito infatti, col suo animo incostante,
facilmente ignorò nel cuore gli affetti;
lei ora mi desta il ricordo di Anattoria,
che non è qui,
ah, vorrei poter vedere il suo amato incedere
e lo splendore raggiante del suo viso
invece che carri lidi e fanti
pronti alla battaglia.
Agli uomini non è concesso d’essere del tutto felici,
ma possono pregare d’averne parte”

Poetessa greca vissuta tra il VII e il VI secolo a.C., Saffo, di famiglia aristocratica, nata nell’isola di Lesbo, non ha mai avuto paura di mettere in versi l’amore no gender, senza genere. In molti componimenti l’autrice parla di infatuazioni per personaggi femminili, da cui “amore saffico” per intendere quello lesbico, anche derivante dal luogo in cui ha vissuto, ma le descrizioni di rapporti fisici tra donne sono rare.

La leggenda dice che Saffo abbia raggiunto la tarda età, cosa non scontata all’epoca, e che si sia buttata dalla rupe per il sentimento non corrisposto nei confronti di un giovane battelliere. Le poche immagini la ritraggono con un taccuino in mano e una bellezza che spiegherebbe i turbamenti che causava e che, in parte, subiva.

Saffo è il simbolo della poetessa indomita, che si strugge per amore, e le sue liriche sono di una essenzialità elegante che ha pochi eguali nella storia della letteratura.

Patrizia Valduga

"Io sono sempre stata come sono
anche quando non ero come sono
e non saprà nessuno come sono
perché non sono solo come sono"

I versi di Patrizia Valduga, classe ’53, veneta, residente a Milano, sono un inno al farsi rispettare per come siamo, con tutti i pregi e i difetti, che nessuno riuscirà a comprendere fino in fondo. Tra le massime poetesse contemporanee, compagna di un altro mostro sacro della poesia, Giovanni Raboni, scomparso nel 2004, questa donna un po’ dark è un modello di perfezione formale, con una grande pulizia metrica e le rime baciate. I fili rossi della sua opera sono due: l’amore – commoventi le ventitré poesie composte durante la malattia di Raboni, una per ogni anno della loro relazione – e la mancanza della figura paterna, che le trasmette solitudine interiore.

Wisława Szymborska

"Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
È bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.
Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da molto tempo potevano incrociarsi?"

Venerata dagli intellettuali. Premiata con il Nobel. Più passa il tempo, più Wisława Szymborska, poetessa polacca, scomparsa nel 2012, diventa un’icona. Interprete della società moderna, la Szymborska univa nelle sue poesie i sentimenti e la biologia, la “pancia” alla denuncia della crisi economica, le metafore ardite a oggetti d’uso quotidiano: le “cianfrusaglie”, che non si vergognava di collezionare.

Andrebbe tenuta sempre sul comodino, sia quando parla di Amore a prima vista, come in questi versi, sia quando racconta il mondo in cui viviamo, salvato dalla Gioia di scrivere, titolo di una sua raccolta, pubblicata da Adelphi, e dalla bellezza dei suoi versi.

Sylvia Plath

"Morire
È un’arte, come qualsiasi altra cosa.
Io lo faccio in un modo eccezionale
Io lo faccio che sembra un inferno
Io lo faccio che sembra reale. 
Ammetterete che ho la vocazione."

Come si fa a vivere sapendo che si ha la vocazione per la morte? Sylvia Plath, nata a Boston nel 1932, suicidatasi a Londra nel 1963, aveva sempre saputo come sarebbe andata a finire, ma non ha mai smesso di regalarci la sua Arte. Ha composto la sua prima poesia a otto anni. Ha sposato un poeta inglese, che l’ha lasciata dopo un aborto e l’ha tradita. Ha fatto due figli. Ha vissuto l’ultimo periodo della sua vita nella casa londinese di un’altra star del genere, il poeta irlandese William Butler Yeats.

Prima di morire, ha scritto l’ultima poesia, ha preparato due bicchieri di latte per i bambini e ha messo la testa nel forno. «La scrittura resta: va sola per il mondo!», diceva.

Maria Luisa Spaziani

LA MORSA DEL SALTO 

"Il desiderio è scivolare in sé,
è un ombelico interno che concentra
ogni energia, la rapida che preme
sul pettine ruggente della diga.
È scrimolo infernale, il punto-crisi
dell’acqua che sprofonda verso i quieti
allegretti del fiume. Ma mi si stringe
crudelmente la morsa del salto."

Figlia di un ricco industriale torinese, Maria Luisa Spaziani (Torino, 1922 – Roma, 2014) capisce fin da ragazza che le parole, in tutte le forme, dalle poesie ai suoi famosi aforismi, sarebbero state la sua vita. Candidata tre volte al Premio Nobel, amante di Eugenio Montale, che la chiamava la “Volpe”, la Spaziani aveva uno stile caustico, che oggi spopolerebbe sui social.

Capace di versi classici del tipo: “Sarebbe, il mondo, un fresco castagneto / se tutto mi guardasse coi tuoi occhi“, la poetessa, tra le più prolifiche della Storia italiana, dava il meglio di sé quando prendeva in giro la “guerra dei sessi” con le sue massime che facevano ridere e riflettere allo stesso tempo. 91 anni di componimenti poetici, racconti, scritti autobiografici, saggi su Proust, opere teatrali e traduzioni per una donna che dovrebbe essere un modello per le nuove generazioni.

Marina Cvetaeva

"Di bigodini, pannolini,
calamistri arroventati,
capelli bruciacchiati,
cappelli, cuffiette,
eau-de-toilette,
di felicità volgari,
coniugali (Klein Wenig!)
– «Dov è la caffettiera?» –
di biscotti, cuscini, matrone,
di balie, bagni, bonnes.
Non voglio aspettare l’ultima mia ora
in questa scatola di corpi femminili."

Marina Cvetaeva (1882 1941), russa, colta, si autorappresenta in versi fin da giovane come una strega e questa sua poesia simbolista piace poco al regime staliano: è costretta a fuggire da Mosca. A Parigi, Berlino, Praga diventa una delle principali componenti dell’avangiardia simbolista ma quando il marito Efron viene fucilato, le cose precipitano. Torna a Mosca, povera e isolata. Muore impiccata. Le sue opere, con quel linguaggio così eccentrico e irriverente, saranno riscoperte solo vent’anni dopo la morte. Oggi è citatissima sui social.

Emily Dickinson

"Addio alla Vita che ho vissuto –
E al Mondo che ho conosciuto –
E Bacia le Colline, per me, basta una volta –
Ora – sono pronta ad andare…"

La vita di Emily Dickinson (1830-1886) è quasi priva di eventi: è nata da una famiglia protestante e borghese, ad Amherst, nel Massachussetts, fece qualche viaggio a Boston, si innamorò (platonicamente, non ricambiata) di un pastore protestante. Pubblicò pochissimo: la sua poesia era considerata troppo semplice e desueta. Oggi è considerata una delle più importanti poetesse del Novecento.

Vivian Lamarque

"A vacanza conclusa dal treno vedere
chi ancora sulla spiaggia gioca si bagna
la loro vacanza non è ancora finita:
sarà così sarà così
lasciare la vita?"

Sembra così immediata e semplice, la poesia di Vivian Lamarque (nata a Tesero, in provincia di Trento, nel 1946), ma è solo apparenza: questa scrittrice, che è anche traduttrice di Valéry, Baudelaire, Prévert e molti atri, è bravissima a condensare in poche e chiare parole il valore della nostra esistenza, ben oltre il frettoloso approccio che spesso usiamo per guardare il mondo.