La festa per il compleanno del cinematografo

La sera del 28 dicembre 1895 a Parigi i fratelli Lumière hanno realizzato la prima proiezione pubblica delle pellicole cinematografiche che avevano brevettato e realizzato.

Perché è importante guardare e conoscere il cinema dei fratelli Lumière e di Georges Méliès?

di Matteo Molinari

Prima di tutto perché i Lumière e Méliès sono stati gli inventori del linguaggio cinematografico e i loro film sono davvero bellissimi! Bellissimi perché per gli spettatori di oggi sono documenti visivi che mostrano come vivevano le persone e com’era il mondo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo: per la prima volta nella storia dell’umanità sono state prodotte immagini in movimento che riproducono meccanicamente e in modo oggettivo la realtà delle cose così com’era. Tutto quello che si vede è veramente accaduto! E quello che si vede è tutto in movimento! Ecco la grande novità dei film dei Lumière: riprodurre meccanicamente il movimento che è nella realtà quotidiana che viviamo e dal quale non possiamo mai prescindere; ecco: è il cinema!…infatti in greco kínema (κίνημα) è il movimento. La fotografia poteva e può tuttora riprodurre un’immagine della realtà vera, ma fissa un istante staccato dallo scorrere del tempo: è una realtà vagamente surreale quella della fotografia perché stacca l’oggetto ritratto dallo scorrere costante del tempo che attraversa e permea la realtà della vita. Il cinema, facendo scorrere 24 fotografie al secondo riproduce l’effetto del movimento. Invero si deve parlare di fotogrammi; che originariamente erano 16 al secondo…poi 18…poi 20…infine 24…insomma più fotogrammi ci sono in un secondo e più dettagliata, precisa e vera è la descrizione del movimento.

Louis e Auguste Lumière possedevano una fabbrica di materiale ottico e sperimentando la possibilità di scattare più fotografie al secondo hanno iniziato a descrivere con spettacolare oggettività la realtà del mondo moderno: operai e operaie che escono dalle fabbriche, treni che arrivano nelle stazioni, famiglie borghesi che pranzano in giardino, fabbri che plasmano i metalli, tranquilli uomini della classe media che giocano a carte, muratori che abbattono vecchi muri per costruire nuove case…tutte scene di vita quotidiana apparentemente prive di valore che riprodotte dal nuovo dispositivo cinematografico diventano un grandioso spettacolo della realtà mai vista prima d’ora così! Ma quello che appare così vero e spontaneo è osservato e interpretato dalla macchina da presa. I Lumière infatti non mettono mai la macchina da presa in un posto a caso: scelgono i soggetti e i temi che rappresentano la novità del mondo capitalista e positivista borghese attuale totalmente concentrato verso il progresso tecnologico ed economico che sta costruendo la ricchezza e la bellezza del futuro che avanza. E per celebrare il mondo moderno che si spinge verso il nuovo secolo bisogna trovare soluzioni compositive dell’immagine che lo sappiano valorizzare e celebrare. È vero che le inquadrature sono fisse (i Lumière inizialmente non sapevano che la macchina da presa può essere mossa, ma ben presto lo scopriranno mettendola su barche e treni in movimento) e che i film durano pochi minuti finché dura il nastro della pellicola (i Lumière all’inizio non avevano ancora inventato il montaggio; ma in poco tempo sono arrivati a brevettare anche quello) ma la distribuzione degli elementi all’interno delle inquadrature è calcolata al millimetro. Nella Uscita dalla fabbrica (Sortie d’usine,1894) il sole illumina frontalmente la facciata della fabbrica da cui escono con movimenti ordinati e regolari gli operai e le operaie; e la facciata della fabbrica è collocata perfettamente al centro del quadro: il lato destro dove è appare la profondità di campo del capannone popolato dagli operai è proporzionalmente uguale al lato sinistro dove è collocata la piccola porta da cui escono gli impiegati. La simmetria e la frontalità insieme alla luminosità diffusa danno all’immagine degli operai che escono dalla fabbrica un’aria di solennità ordinata e prospettica proprio come in un grande dipinto di tradizione accademica. Il modello classico utilizzato per rappresentare scenografie storiche nella pittura tradizionale è stato utilizzato per rendere gloria al tempio dello sviluppo della civiltà moderna: la fabbrica dei fratelli Lumière a Lione e i suoi operai. Anche il treno è simbolo dei tempi che corrono verso la modernità del futuro. Per questo la struttura compositiva dell’inquadratura del film L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat (L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat o L’Arrivée d’un train à La Ciotat, 1895) è costruita su linee diagonali che definiscono il movimento dalla profondità di campo del passato verso la vicinanza alla macchina da presa che è il viaggio verso il futuro. Insomma i Lumière hanno inventato una macchina che pur riproducendo immagini della realtà preesistente (ed è vero che tutto quello che si vede è vero) è anche in grado di offrire della realtà un’interpretazione soggettiva attraverso la posizione della macchina da presa rispetto al soggetto che intende rappresentare, attraverso le geometrie compositive che conformano l’inquadratura, attraverso la scelta dell’illuminazione. Si afferma così l’ambiguità intrinseca del linguaggio cinematografico in cui appare tutto vero quello che si vede ma è sempre soggettivamente descritto dal regista che realizza il film. I Lumière hanno anche inventato la possibilità di raccontare una breve storia di fiction come L’innaffiatore innaffiato (Le jardinier, secondo il titolo con cui figurava nella prima proiezione pubblica, o L’arroseur arrosé) in cui un monello fa un divertente dispetto ad un giardiniere concentrato nel suo lavoro. E hanno inventato anche il primo effetto speciale della storia del cinema riavvolgendo la pellicola in cui si vede un gruppo di muratori che abbattono un muro e improvvisamente il muro si ricostruisce da solo! Miracolo della macchina moderna che può riavvolgere il tempo e fare scorrere il movimento al contrario!

Proprio questo effetto ha affascinato e sedotto il prestidigitatore Georges Méliès che quando vide le cinématographe dei Lumière ne comprò il brevetto per mettere in visione il suo mondo immaginario. Con la macchina da presa si riproduce la realtà delle cose, ma attraverso sovraimpressioni, stampe di molteplici pellicole negative su una sola stampa positiva, stacchi di montaggio fatti direttamente dentro la macchina da presa durante la ripresa e molti altri vari effetti speciali è possibile reificare il mondo che solo l’immaginazione fantasiosa è in grado di visualizzare. Ne scaturiscono film divertentissimi e sorprendenti in cui uomini possono perdere la testa e rimettersela sul collo oppure le teste staccate si moltiplicano o si ingigantiscono e possono apparire e scomparire come per magia mostri di varie fogge e dimensioni. Jean-Luc Godard disse che i Lumière facevano spettacolo mostrando lo straordinario dell’ordinario mentre Méliès faceva spettacolo mostrando l’ordinario dello straordinario. Il capolavoro di Méliès è Il viaggio sulla Luna (Le voyage dans la Lune, 1902) ispirato al racconto di Jules Verne in cui un gruppo di astronauti inventa un missile per arrivare a visitare la Luna dove incontrano acrobatici seleniti e poi ritornano soddisfatti e gloriosi sulla Terra: meraviglioso racconto di immagini di fantasia che in una dozzina di minuti ha anticipato e arricchito quello che sarebbe successo nel 1968 quando Kubrick ha realizzato il suo capolavoro di fantascienza e quello che è successo nel 1969 quando l’Uomo è effettivamente approdato sulla Luna scoprendo potenzialità e lati oscuri di sé e dell’universo che forse non aveva mai conosciuto.

Descrizione dell’attualità e anticipatore delle fantasie e delle scoperte scientifiche del futuro a venire, il cinema fin dalle sue origini ha affascinato il pubblico di ogni regione del mondo e di ogni classe sociale. Con pochi centesimi ogni persona poteva godere dello spettacolo della modernità e poteva vedere con i propri occhi paesaggi e monumenti geograficamente lontani e i volti bellissimi di uomini e donne che ben presto sarebbero diventati delle star da imitare nel comportamento e nell’aspetto fisico. La facilità di diffusione della pellicola positiva stampata in miriadi di copie e distribuita ovunque, la capacità di riproduzione oggettiva della realtà ma anche di fare apparire come vero e possibile ciò che è soggettivamente inventato e rappresentato, la potenzialità di arricchire l’immaginario del pubblico e di conformare il sistema di pensiero ha fatto sì che il cinema diventasse l’invenzione artistica più importante dell’era contemporanea e il linguaggio cinematografico il più ambiguo e malleabile con cui autori e poeti potessero esprimersi per comunicare creativamente e liberamente le proprie idee. Ma anche sistemi politici e pubblicitari hanno sfruttato le potenzialità del linguaggio filmico per creare forme di propaganda ancora oggi assai presenti nei sistemi di comunicazione audiovisiva. Ecco perché è importate guardare e conoscere i film di Louis e Auguste Lumière e di Georges Méliès: perché imparando a decodificare la genesi e lo sviluppo del linguaggio cinematografico nel corso della sua storia è possibile comprendere e capire le modalità della comunicazione di massa del mondo di oggi e saper distinguere la poesia del cinema d’autore dalla spazzatura dell’ipocrisia convenzionale.

Matteo Molinari