“Lo guardai, osservai quell’uomo, quell’uomo che era mio padre. Un edonista polacco che aveva trascorso la vita scopando, picchiando e uccidendo… Se fosse nato in un ambiente diverso, in uno Stato diverso, in un’epoca diversa, sarebbe potuto essere uno straordinario libertino, chissà, buon amico del marchese de Sade, ma era solo un bandito polacco, che dalle fogne di Majdanek era finito nel lerciume dei quartieri poveri di Wroclaw”: la CANAGLIA del titolo è Stefan, il padre di Tadek, scrittore fallito, che, contro il parere della madre e dei fratelli, che lasciando la Polonia hanno tagliato i ponti con il passato, parte da Israele per ritrovare il padre, ricoverato in una casa di riposo per reduci di guerra a Varsavia. L’incontro è insieme straziante e deludente e Orlev è bravissimo a far dialogare a distanza i racconti e i ricordi del vecchio Stefan con quelli della madre, a cui vengono riportati al ritorno in Israele del figlio. Un espediente narrativo che crea un dialogo a distanza e integra notizie e punti di vista sul passato. “Passiamo tutta la vita a cercare di ottenere un certo qual riconoscimento da parte di nostro padre, e… la maggior parte di noi non riesce ad ottenerlo. Poco importa quanto siano stronzi e riprovevoli, lo cerchiamo ancora, come quando eravamo bambini”: Tadek non riesce a staccarsi da questo meccanismo perverso e sembra cercare le ragioni del suo fallimento nella figura paterna. In realtà torna a casa con una maggiore consapevolezza del peso della guerra e del passato sul presente della sua famiglia, sull’antisemitismo più o meno latente, sui cambi repentini di regime e sul perché servano due bottiglie di vodka al giorno al padre per tirare avanti. “Quando la vita si svuota del suo contenuto, tutto diventa più chiaro. Eppure lo sguardo resta lo stesso, lo sguardo di un bambino sul volto di un adulto che, di notte, in una casa vuota, resta nudo davanti allo specchio dopo essere uscito dalla doccia. Ecco cosa resta. Questo corpo e questo volto nascosto dietro alla barba, il corpo e il volto di un uomo che, d’improvviso, sembra una copia sbiadita di suo padre”.

Simonetta Bitasi