“Almeno una volta nella vita vorrei entrare in una stanza ed essere vista solo come Elle. Capisci? In Ghana i bambini mi urlavano dietro “straniera!”, ricordi? E in Germania mi trattano come una straniera. Cosa vuol dire?”. Il romanzo di Sharon Dodua Otoo gioca tra reale e immaginario per raccontare il mondo in cui viviamo. Ha infatti la capacità di portare chi legge in un fantastico articolato e complesso, che sembra irreale e plausibile insieme. Sempre giocando tra metafora e realtà, la ricerca della stanza per Ada è una denuncia precisa e dolorosa verso la società in cui viviamo e la domanda che di fronte a tratti somatici ritenuti inusuali ci porta subito a chiedere: “Da dove vieni?”. “Tu non hai idea di che merda sia per me questa domanda, vero? … In Ghana, Ada era diventata donna pian piano, quasi senza accorgersene. In Germania Ada diventò Nera di colpo e se ne accorse subito… Ad Accra, Ada era femminile, certo, ma anche una persona preziosa e amabile. A Berlino, era raro che fuori dal suo mondo qualcuno le mostrasse considerazione. Troppo spesso il suo corpo la tradiva prima ancora che lei riuscisse ad aprire bocca”. Ma il romanzo della scrittrice inglese che qui scrive in tedesco usa le storie per mostrare le radici e l’assurdità di queste discriminazioni e nello stesso ci porta in un viaggio letterario dove alle voci delle protagoniste si alternano quelle degli oggetti, un battente della porta, una stanza e, non a caso, un passaporto inglese. Sharon Dodua Otoo usa la scrittura come una macchina del tempo, trasportandoci dal Ghana del XV secolo alla Londra dell’Ottocento, sino al campo di concentramento di Mittelbau-Dora e alla Berlino dei nostri giorni, senza mai perderci ma anzi facendoci vivere tante esistenze contemporaneamente. Grazie a una scrittura sicura, musicale, multicromatica e a riferimenti letterari più o meno svelati, dalla stanza di Virginia Woolf alle Sdentate che richiamano il coro della tragedia greca. Come sempre magistrale la traduzione di Fabio Cremonesi arricchita dalla nota finale, dove ci illumina sulla lingua di Otoo.

Simonetta Bitasi