Adrian Bravi ha la capacità di raccontare l’umanità, di fartene sentire parte nel bene e nel male, in romanzi sempre diversi per ambientazione e storia. In VERDE ELDORADO, appena pubblicato da Nutrimenti con una copertina raffinata ed allusiva, ci porta in viaggio sull’ammiraglia di Sebastiano Caboto diretta in Indonesia, ma che alla fine troveremo a risalire il fiume Paraguay. Ma l’ambientazione storica accurata e non casuale rivive grazie ai personaggi della storia e in particolare al protagonista Ugolino, rimasto gravemente ustionato nell’incendio del negozio di preziosi tessuti del padre nella Venezia del 1526. Adrian Bravi riesce con poche pagine a raccontarci il luogo d’origine e la famiglia del giovane protagonista, la preoccupazione del padre per questo figlio rimasto sfigurato che cela il volto con un cappuccio di pelle, tanto da decidere di imbarcarlo appunto nella spedizione di Caboto. Bravi riesce a restituire il clima della spedizione, il senso dell’avventura e la paura dell’ignoto, i sogni, le ambizioni, il desiderio di ricchezza, i legami che si creano tra i marinai, ma anche le dinamiche violente e i soprusi in un ambiente chiuso e spietato. Fino a quando Ugolino non verrà catturato da una tribù di Indios e lì comincia un’altra storia. Quello che fa lo scrittore è raccontare spaccati di Storia, rendendoli vivi e in qualche modo contemporanei, senza tradirli. Che poi è il senso della letteratura. Viviamo la vita di Ugolino e nello stesso tempo riflettiamo sulla civiltà occidentale, su cosa è davvero civile, sul significato profondo della lingua che parliamo, sui linguaggi che non hanno bisogno di parole, sugli sguardi che cambiano anche rispetto a un viso segnato dal fuoco, sulla nostalgia e il senso della famiglia, sul rapporto con la natura, sulla capacità che stiamo perdendo di ampliare i punti di vista e sui pregiudizi assoluti che non riusciamo a scardinare. Come sempre lo scrittore italo-argentino ci regala una lingua musicale, antica e moderna insieme, che sa raccontare la poesia della vita e insieme la sua inevitabile durezza.
Simonetta Bitasi