“Mathilde aveva assistito ai vari coma etilici di Romain molto prima di essere grande abbastanza per capire, e non aveva mai conosciuto una vita famigliare senza quell’ossessione costante”. UNA FAMIGLIA di Pascale Kramer è un romanzo corale, dove si alternano le voci di Olivier e Danielle, i genitori e dei loro tre figli adulti: Lou, che ha appena partorito la sua seconda figlia, forzando la mano al marito con cui era in crisi; Edouard, reduce dalla malattia del primogenito, che mette in discussione il suo matrimonio e la più piccola Mathilde che ha preferito andare a studiare a Barcellona. L’unico di cui non ascoltiamo la voce è il vero protagonista del romanzo, Romain, il figlio primogenito che Danielle ha avuto dal primo marito, devastato fin dall’adolescenza dall’alcolismo e che come un burattinaio impazzito tira i fili della famiglia, tra ricoveri e ricadute, tra il vivere in una casa decente e avere un lavoro e il trovarsi coricato per strada in mezzo a luridi cartoni. La scrittrice svizzera riesce a mettere in scena la quotidianità più o meno serena della famiglia, tra la vivacità dei più piccoli, il legame saldo tra Danielle e Olivier, le ambizioni di Mathilde, la maternità e la paternità di Lou e Edoaurd, e insieme il pensiero costante di Romain, come uno spillo conficcato nelle loro esistenze: “Avrebbero dovuto sorvegliarlo costantemente, come aveva fatto la loro madre finché era vissuto in casa, per salvare quella parte amabile e amorevole, quella piccola parte miracolosa che c’era in lui. Avrebbero dovuto non avere una vita, si disse di nuovo in quell’istante, con lo stesso impossibile senso di colpa di allora”. Un romanzo potente, pieno di riflessioni e punti di vista mai banali, che indaga a fondo le dinamiche familiari. A partire dall’incredulità di fronte a un giovane pieno di talenti e circondato da opportunità e affetti, che nulla valgono di fronte alla sua dipendenza dall’alcool: “Forse anche lei avrebbe dovuto accontentarsi che suo figlio non fosse steso per terra da qualche parte, intento a svuotare bottiglie come ci si fa saltare il cervello”.

Simonetta Bitasi