«Lei, essa poesia, ha ritmica, ha melodia, timbro. Musica è. Tutti i poteri della musica. Tutti li ha». Poetessa e drammaturga, Mariangela Gualtieri (Cesena, 1951) si è laureata in Architettura a Venezia. Dal 1983 è anima, corpo e voce del Teatro Valdoca, fondato a Cesena insieme al regista Cesare Ronconi. Nato come collettivo di musica e teatro, il Teatro Valdoca è andato affermandosi nella scena teatrale italiana d’avanguardia attraverso un felice connubio tra danza e performance, poi arricchito dall’incontro e dal coinvolgimento progettuale di alcuni tra i maggiori poeti italiani del secondo Novecento (Fortini, Luzi, Bigongiari, Loi, Cucchi, Sicari, Rosselli, Merini, Majorino) nella Scuola di poesia diretta da Milo De Angelis. Tale esperienza ha lasciato una traccia indelebile nella scrittura di Gualtieri («sono stata abbellita, nutrita, cresciuta dalla parola altrui e sono piena di riconoscenza fraterna»), che da allora prosegue con costanza anche attraverso laboratori di scrittura e di lettura di versi al microfono. Dalla prima uscita con Antenata (Crocetti, 1992) a Quando non morivo (Einaudi, 2019) e A braccia aperte (Carabba, 2022), ha pubblicato diversi libri di poesia e ricevuto numerosi riconoscimenti. Nel 2020, in piena emergenza Covid-19, la sua opera in versi Nove marzo duemilaventi è apparsa sulle colonne di Doppiozero. Nel 2022 ha pubblicato per Einaudi L’incanto fonico. L’arte di dire la poesia.

Ci dovevamo fermare / Nove marzo duemilaventi

Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.

Ascolta Mariangela Gualtieri a Festivaletteratura

GEMELLI DI VERSI (E PELLICOLA)

11/09/2020 al Festivaletteratura

Registi, fotografi, poeti. I fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo sono forse tra gli artisti più poliedrici che oggi si possono trovare in Italia, anche se, per loro stessa ammissione, non sognavano di diventare film-maker e sceneggiatori: «è successo a forza di raccontare storie». Narrare con grande realismo l’intimità urbana è senza dubbio un’attività che riesce loro perfettamente, imparata sul campo senza frequentare scuole di cinema: vincitori dell’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura alla Berlinale 2020 con Favolacce (alla kermesse tedesca avevano partecipato anche nel 2018 con La terra dell’abbastanza), i giovani gemelli romani hanno recentemente concretizzato la loro visione della vita quotidiana su molteplici media, dipingendo il microcosmo delle periferie con la poesia (Mia madre è un’arma) e la fotografia (Farmacia notturna). Spaziando dagli esordi come ghostwriter fino all’incontro con Paul Thomas Anderson, li affianca la poetessa e drammaturga Mariangela Gualtieri (Quando non morivo).

VOCI DI VOCABOLARIO – 7. Mariangela Gualtieri con Silvio Perrella

07/09/2003 al Festivaletteratura

Una lingua viva cammina sulle gambe di chi la usa, e le voci del vocabolario hanno il suono delle nostre voci. Ma che rapporto ha con il vocabolario chi fa delle parole il proprio mestiere? Silvio Perrella lo chiede oggi a Mariangela Gualtieri, drammaturga e poetessa (“Fuoco centrale e altre poesie per il teatro”).